Uscire dalla dipendenza dal gioco d’azzardo

Last updated Febbraio 7, 2022

Intervista con un ex giocatore

Una delle argomentazioni utilizzate più di frequente da chi è critico nei confronti dell’industria del gioco è quella della ‘Dipendenza dal gioco’, ed il solo fatto di nominare questa patologia senza dover neppure sottolineare i possibili danni provoca nel giocatore una reazione di vergogna che lo mette in condizione di sentirsi completamente perso. In questo articolo, un ex giocatore dipendente dal gioco d’azzardo racconta la sua esperienza insieme ai lati negativi del gioco, offrendo un punto di vista utile per tutti coloro che vogliono impegnarsi ad uscirne.

Stiamo parlando dell’autore del blog polacco postawnasiebie.org che, nonostante preferisca mantenere l’anonimato, vuole condividere la sua storia con altri giocatori sperando che possa fungere sia da monito che da ispirazione per tutti quelli che cercano di sconfiggere la dipendenza.

“Subito dopo essere uscito dal centro di riabilitazione, il fatto che sempre più persone su Twitter promuovessero le scommesse senza mai fare riferimento ai possibili rischi mi dava tremendamente fastidio” – dice il nostro intervistato, che ha scommesso per oltre 10 anni”.

Ho aperto il mio blog nella speranza di poter essere di sostegno per qualcuno. Oggi ricevo messaggi da lettori che mi informano di quanto il blog li abbia aiutati, e il fatto che la mia storia sia stata d’aiuto per altri mi ha finalmente permesso di riuscire a liberarmi di un peso che ho portato con me a lungo. Descrivere il presente [all’interno del blog] aiuta anche a controllarmi e mantenermi totalmente concentrato sulla mia vita. Scrivere questo blog rappresenta una parte integrante del mio personale percorso terapeutico; la terapia ha aiutato a capire meglio me stesso e il mondo che mi circonda”.

Qual è stata la tua prima scommessa?

È cominciato tutto con la Coppa del Mondo del 1998; si stava per giocare la partita inaugurale tra Brasile e Scozia. Ho scommesso con un amico di mio zio che il Brasile avrebbe vinto 2-1, e ho azzeccato il risultato. Ho vinto una bottiglietta da mezzo litro di Coca-Cola. Avevo 8 anni. All’epoca i miei genitori non mi lasciavano quasi mai bere bibite, e il fatto di aver vinto un premio del genere mi ha mandato completamente su di giri. In seguito ho scommesso di nuovo sul risultato esatto della finale tra Brasile e Francia. In quell’occasione avevo pronosticato un 3-0 per il Brasile, mentre alla fine fu la Francia a vincere.

Come sei entrato nel mondo delle scommesse? Quanti anni avevi?

Ai tempi delle superiori sono finito in collegio. Un giorno uno studente più grande ci disse che aveva messo 50 zlotys (€12) su una schedina e ne aveva vinti 700 (€168). La cosa mi colpì molto, ma non abbastanza da farmi venire immediatamente voglia di giocare. Allora ero ancora in grado di rendermi conto che si trattava di gioco d’azzardo e che era potenzialmente pericoloso. C’erano altri ragazzi che giocavano cifre inferiori, qualcosa come 2, 3, o 5 zlotys. Uno di loro ne vinse quasi 60. Conoscevo quel ragazzo e sapevo anche che non era assolutamente un esperto di calcio. Per cui il mio pensiero a quel punto è stato che se era in grado di vincere uno come lui, figuriamoci se non sarei stato in grado di farlo anche io che lo seguivo assiduamente e mi ritenevo un grande conoscitore! Il giorno dopo ho piazzato la mia prima scommessa e da lì è cominciato tutto. Avevo 16 anni.

Dove eri solito scommettere ?

Dove andavano tutti. All’inizio solo in ricevitoria, in seguito ho cominciato anche online.

Perché hai cominciato in ricevitoria?

Per giocare online dovevi per forza inviare la scansione di un documento d’identità che allora non avevo perché ero minorenne. In ricevitoria nessuno mi ha mai fatto domande o chiesto espressamente un documento.

Quanti soldi eri solito scommettere ogni mese?

Una volta qualcuno mi ha detto “Non pensare a quanto puoi perdere; pensa invece a quanto puoi vincere.” La cosa mi è rimasta in testa e da allora non ho mai tenuto traccia di quanto vincessi o quanti soldi stessi spendendo .

Su che cosa hai scommesso principalmente? Sei mai stato un esperto di qualche sport in particolare?

Calcio. È quello di cui sono più esperto. Oggi su Twitter si possono trovare consigli sulle partite da parte di professionisti conoscitori di calcio (perché in fondo i giornalisti sportivi sono da considerare degli esperti, giusto?), e immagina? Le loro analisi sono spesso in linea con le mie.

Come ci si sente a vincere su di un bookmaker?

È il massimo. Pensa solo che nel corso di una sola serata puoi guadagnare l’equivalente del tuo salario mensile. O anche il doppio. Ora immagina di vincere in una sera una somma enne volte più grande rispetto a quello che hai investito. E a come ci si possa sentire quando la raddoppi nel giro di poche giocate. È grandioso, ma è anche estremamente pericoloso. Ai tempi, però, non me ne rendevo per niente conto. Mi sentivo un dio. Ero davvero convinto che prima o poi avrei messo da parte una fortuna. Ero arrivato a pensare di essere così bravo che anche le volte in cui perdevo, successivamente avrei comunque vinto abbastanza non solo per ripianare le perdite, ma per essere addirittura in attivo.

Come hai fatto a tenere nascosta la tua dipendenza a famigliari ed amici?

Riuscendo a non tradire le emozioni anche quando le cose mi andavano male. Quando ero in compagnia cercavo sempre di essere l’anima della festa. Sempre sorridente e con la battuta pronta. E quando le cose si facevano serie e qualcuno andava vicino a scoprire che c’era qualcosa  di fondo che non andava, trovavo sempre una scusa per non dire la verità. Purtroppo mi è capitato spesso di dover mentire, e ancora oggi la cosa mi fa vergognare parecchio.

Quando hai capito che scommettere era diventato un problema serio?

Ci sono stati parecchi segnali; il primo è arrivato pochi mesi dopo che avevo iniziato a giocare. Alcune cose mi avevano obbligato a prendere una pausa dal gioco d’azzardo, anche se è durata solo per brevi periodi. Questa volta però è diverso. Non tornerò mai più alle abitudini malate di allora.

Chi è stato il primo ad aiutarti?

La mia ragazza, i miei genitori, mio fratello, un mio amico; tutti hanno cercato di convincermi ad andare in cura, è difficile ricordare chi sia stato il primo. In questo percorso ho incontrato molte persone in grado di darmi una mano. Non ce l’avrei mai fatta senza di loro.

Dietro la decisione così importante di riprendere il controllo della propria vita dev’esserci per forza anche un coefficiente di paura. È qualcosa di cui ci si deve vergognare?

È stato il gioco a rovinarmi la vita. La decisione di rivolgermi a un aiuto professionale è stato il primo passo verso una vera rinascita. La ragione per cui provo ancora vergogna è che ho causato molta sofferenza alla mia famiglia.

Eri spaventato? Come hai gestito la paura?

Credo di aver avuto paura per tutto il tempo di cui ho memoria, solo che le ragioni dietro alla paura sono cambiate. Come l’ho gestita? Oggi, se ci ripenso, mi rendo conto di non aver gestito per niente bene la cosa.

Come sei riuscito farti seguire da un centro di cura specializzato?

È come una visita dal dottore; può essere a spese dello stato o del privato. Basta fare una telefonata al centro e fissare una visita. La differenza è che spesso il soggiorno durante il ricovero è organizzato dalla famiglia, non dalle persone affette da patologie. O, almeno, per me è stato così. È stata mia madre a chiamare.

Come ci si sente ad entrare in terapia? Hai mai pensato di mollare tutto e tornare indietro?

Mi è passata tutta la vita davanti agli occhi. Sentivo di averla persa, buttata, come se fossi stato sul punto di dire addio a tutto ciò che avevo. Ero parecchio spaventato da quello che mi aspettava [al centro di riabilitazione]. In più, ero completamente inghiottito da questo senso di colpa per aver deluso i miei famigliari. Nonostante questo, non ho mai pensato neanche per un istante di mollare. Un amico mi ha detto che se avessi voluto tornare a vivere questa era l’unica possibilità, ed è per questo che ho pensato che tutto il mio percorso fosse necessario. Ero finito in una situazione talmente senza via d’uscita che entrare in riabilitazione è stato ciò che mi ha permesso di tirarmene fuori.

Molti hanno paura dei centri di cura – è qualcosa di giustificato?

Io ero più spaventato all’idea di chi avrei potuto incontrare. Nel mio caso però non avevo motivi reali per esserlo, perché ho incontrato tante persone valide. Persone normali, come chiunque altro, ma con una storia alle spalle. Le 8 settimane che ho trascorso nel centro sono state le prime e le più lunghe che ho trascorso lontano dalla mia ragazza. Mi mancava lei, mi mancava la mia famiglia e i miei amici – che in quel periodo mi hanno mandato completamente ai matti rendendo difficile la mia permanenza lì dentro. Avvertivo continuamente il senso di colpa di cui ho parlato prima.

La terapia? Ci sono stati momenti di paura e momenti di tristezza. Ci sono state lacrime ma anche risate. È stato un continuo ottovolante di cambiamenti di umore. Il soggiorno presso il centro di cura non è stato certo una vacanza, ma se oggi mi guardo indietro posso dire che non c’è nulla di cui si debba avere paura. Direi anzi che, considerata la mia dipendenza dal gioco, il punto a cui era arrivata e i danni che aveva provocato, andare in terapia è stata la cosa migliore che mi potesse capitare.

Come appare il mondo quando si esce dal centro di cura?

Grande e pieno di pericoli. Dentro al centro vivevo una vita al riparo da tutto. L’unica preoccupazione era non farmi beccare a fumare dove non si poteva. Una volta che esci da quel cancello devi affrontare tutti i problemi che si sono accumulati nel corso degli anni trascorsi alla in balia della dipendenza.

In che modo stai affrontando la tua nuova vita di tutti i giorni?

Non esiste un unico modo. Sto ancora imparando come si fa.

Scrivere sul blog fa parte della terapia?

Il blog è una componente del mio percorso terapeutico. Mi aiuta a capire meglio la persona che sono e il mondo che mi circonda..

Chi è a conoscenza della tua dipendenza? Sei in grado di raccontare apertamente ai tuo amici e alla tua famiglia le cose che hai passato?

La mia famiglia, i miei amici più stretti e altre persone lo sanno. Beh, anche persone dell’azienda in cui lavoravo prima di farmi ricoverare. La voce si è sparsa… Riuscire a parlarne apertamente? Quando qualcuno mi chiede delle cose non ho alcun problema a rispondere. Però non è che faccia visita alla nonna o ad amici e mi metta a fare battute sulle cose che fanno parte del mio passato. Non c’è nulla di questa storia che sia motivo di orgoglio.

Avverti come una sorta di stigma a riguardo?

Nulla di cui sia a conoscenza, no.

Come percepisci ora altre persone dipendenti dal gioco?

Ero solito pensare che la mia storia fosse un qualcosa di unico. Solo più tardi ho capito che tutti i giocatori sono fondamentalmente simili. Abbiamo esperienze analoghe che si discostano solo per qualche particolare. Non fa differenza che qualcuno scommetta o che giochi al casinò. Sono tutti degli sciocchi alla stessa maniera.

Come è cambiato il tuo sguardo verso l’industria del gioco? Provi qualche rancore?

Non provo più emozioni di alcun tipo nei confronti dell’industria del gioco. Dopo aver terminato il percorso nel centro mi urtava vedere continuamente persone che promuovevano scommesse su Twitter senza mai menzionare le possibili conseguenza. È questa la ragione per cui ho deciso di aprire un blog. Non ho però alcun tipo di rancore verso l’industria.

Pensi che sia possibile ‘scommettere per divertirsi’? O è solo un modo per finire in pieno nella dipendenza?

Ci sono quelli che parlano del gioco come di un semplice hobby, che non sono dipendenti e per cui la dipendenza non è una cosa li sfiori neanche lontanamente. Non ho intenzione di contraddire il loro punto di vista perché si tratta della loro vita, non della mia. Quello che posso dire è che per me non è mai stato un passatempo, ho sviluppato una dipendenza quasi all’istante.

Che cosa è peggio: le scommesse sportive o i casinò? O forse le lotterie?

Fare un confronto di questo tipo non ha molto senso. Ho pensato a lungo che i ‘giocatori d’azzardo’ fossero solo quelli che andavano a giocare nelle sale da gioco. Poi ho incontrato una persona che ci andava e ho scoperto di essere io quello con i problemi più grandi.

In che modo l’industria del gioco d’azzardo può prevenire le dipendenze?

Incoraggiando misure preventive o promuovendo un approccio sano verso il gioco attraverso campagne stampa. Sento spesso di persone che dicono che per l’industria non sia possibile intraprendere campagne di questo tipo, che sarebbe come darsi la zappa sui piedi da soli; io credo invece che si tratterebbe di una via del tutta nuovo per il settore, che la responsabilità sociale delle imprese (RSI) oggi potrebbe essere un approccio valido. I giocatori d’azzardo potrebbero continuare a farlo, ma forse sarebbe opportuno incoraggiarli a farlo in maniera più consapevole?

Pensi che l’industria dovrebbe porre dei limiti? O la responsabilità è del giocatore e della sua capacità di autocontrollo?

Limiti? La dipendenza è di per sé una perdita del controllo, per cui non ci sono mai limiti. Nel momento più alto della mia dipendenza non mi sono certamente mai posto alcun limite, e quando qualcuno provava a farlo per me andavo semplicemente a giocare altrove. Vale la stessa cosa per l’autocontrollo. Non c’era davvero niente che fosse in grado fermarmi.

In che modo l’industria può aiutare persone già affette da dipendenza?

Ci sono molti modi per farlo. La domanda piuttosto è – all’industria interessa realmente farlo? Credo comunque che una particolare attenzione sulla RSI, come ho detto prima, possa essere di grande aiuto verso chi è dipendente, e allo stesso tempo permettere ancora all’industria, e ai giocatori, di trarre benefici continuando a fare i propri interessi.

Cosa ti senti di dire a coloro che tra i propri cari hanno persone affette da dipendenza?

Ci sono centri di aiuto e supporto professionale per persone dipendenti dal gioco, e se fossi in loro gli consiglierei di fissare un incontro conoscitivo. Anche se so bene che non è una decisione che si prende a cuor leggero, per esperienza personale posso affermare con certezza che un consulto con uno specialista rappresenterebbe un primo passo di valore inestimabile nel percorso verso l’uscita dalla dipendenza. Non penso però di avere la necessaria “esperienza” per offrire dei consigli sufficientemente professionali, né è quello che faccio attraverso il mio blog. Ricordo che quando un amico mi ha suggerito per la prima volta di andare in cura, aveva detto alla mia ragazza di non credere a una sola parola di quello che dicessi, e che se avessi voluto davvero tornare a vivere la mia vita non avevo altra scelta all’infuori della terapia. Sapeva quel che stava dicendo perché ci era già passato, anche lui l’aveva avuta ed era stato in cura. Le sue parole ai tempi mi hanno fatto molto male, ma oggi posso dire di essergli riconoscente.

Vorresti dire qualcosa a tutti coloro che sono dipendenti dal gioco?

Smettere non è stato facile. Ammettere di essere dipendente è stato difficile. E ancora più difficile è stato ammettere a me stesso che l’unico modo per uscirne era quello di andare in terapia. Separarmi dagli affetti più cari per 8 settimane è stato qualcosa di particolarmente duro da vivere sulla mia pelle. Nonostante non abbia ancora risolto del tutto i miei problemi, la terapia al centro di riabilitazione è valsa totalmente la pena.

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Se temi per la salute di qualcuno a te caro e pensi che potrebbe essere affetto da una dipendenza dal gioco, richiedi aiuto!

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